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Sostenibilità e tutela dell’ambiente da un lato; consumatori e aziende e formule di comunicazione dall’altro.
Volàno o trappola? Queste le esigenze di normare quel fenomeno definito greenwashing che viene tradotto come “ambientalismo di facciata”.
Lo scorso mese di gennaio è stata approvata la direttiva che mira a proteggere i consumatori da pratiche commerciali scorrette, e di conseguenza, permette alle aziende veramente impegnate in percorsi di sostenibilità, a non subire la concorrenza sleale di false affermazioni green.
Con la direttiva approvata dal Parlamento europeo (che sarà sottoposta all’approvazione del Consiglio UE per poi essere recepita dagli Stati membri), le asserzioni ambientali, e in particolari quelle relative al clima, dovranno essere pubblicamente rese disponibili e risultare da un piano di attuazione dettagliato e realistico che includa obiettivi misurabili e con scadenze precise, nonché verificato periodicamente da un terzo indipendente e le cui conclusioni dovranno essere messe a disposizione dei consumatori.
Vengono vietate le asserzioni ambientali generiche del tipo: ‘eco-compatibile’, ‘verde’, ‘amico della natura’, ‘ecologico’, ‘rispettoso dell’ambiente’ e, in generale, asserzioni analoghe a queste.
La direttiva interviene anche sui marchi di sostenibilità vietando quelli che non sono basati su un sistema di certificazione terzo o che non sono stabiliti da autorità pubbliche.
La direttiva fa fronte, quindi, ad una serie di strategie di marketing legate all’ambientalismo di facciata sia a tutela del consumatore, ma anche a tutela delle aziende che hanno investito o stanno investendo nella transizione ecologica affinché la loro reputazione/credibilità non sia compromessa da quei competitor più sfacciati pronti ad addobbare i loro prodotti di informazioni falsamente green.
La proposta di direttiva si pone, quindi, come certamente capace di risolvere quel problema non indifferente che (nel gennaio del 2021 – secondo un’indagine condotta dalla Commissione UE e dalle autorità nazionali competenti) vedeva il 42% delle comunicazioni ambientali esagerate o false o ingannevoli tali da potersi configurare come pratiche commerciali scorrette.
Se da un lato questa proposta di direttiva impatta su moltissimi settori, quello che qui a noi interessa in particolar modo, è l’ambito del food & beverage che certamente gioverà di tali nuove indicazioni.
In un momento storico dove proliferano schemi di certificazione volontari/privati – o addirittura aziendali – sul tema green, è importante creare un solco normativo con cui far fronte alla concorrenza sleale tra gli operatori del settore alimentare.
L’etichetta dei prodotti, la pubblicità e tutte le informazioni in generale (marchi, immagini, simboli, diciture, pubblicità, storie social ecc…) devono comunicare il valore vero di quanto prodotto e venduto; senza scadere, a discapito della norma, in fuorvianti informazioni abbellite da piacenti e attraenti ‘affermazioni verdi’.
Le tematiche ambientali, sempre più necessarie di maggiore attenzione, non debbono e non possono sottrarsi alle regole della corretta comunicazione. Alle regole della leale concorrenza. Nel bene di tutti.
Avvocato Davide Torcello
Avvocato Massimo Palumbo
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